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Rivista98_Il catalogo dei dipinti dell'Accademia Carrara

[...] L’idea di partenza, almeno la mia idea di partenza, era di costruire ogni scheda come un piccolo breve giallo: un’opera d’arte è un documento, un documento figurativo, che propone una molteplicità di notizie più o meno chiare, tutte da interpretare. A volte il soggetto è evidente, a volte meno e lo si deve spiegare, o se ne devono interpretare i dettagli minori, seguendo le lunghe linee diacroniche dell’iconografia. Poi ci sono i dati sulla conservazione, resi intricati dai vecchi restauri di diverso genere e alla fine riletti alla luce dei restauri moderni, che miracolosamente sono diventati tutti ‘scientifici’ (come se quelli di prima non fossero scientifici: certo erano scientifici secondo i parametri dell’epoca loro). Ma c’è anche la percezione diretta dei dipinti che qui abbiamo guardato e riguardato, preso in mano, girato e rigirato, fotografato e rifotografato, perché quasi sempre a rivedere dal vero si capisce qualcosa di più; che è ben diverso da quel modo di fare schede anonime che imperversano [...]. E soprattutto scrivendo le schede si deve affrontare la vicenda critica con la rassegna dei pareri che gli studiosi che ci hanno preceduto avevano formulato: a volte numerosissimi, a volte radi e laconici. Leggendoli e rileggendoli, questi giudizi che ci hanno tracciato la strada, cercando di contestualizzarli nel momento storico, di gusto, di appartenenza e di tradizione filologica, fino a trarne tutte le informazioni utili.
Insomma il tentativo che si è portato avanti è quello normale nei cataloghi seri: cioè l’abitudine a guardare un dipinto come un vascello senza più equipaggio, che arriva dal passato e ci porta un insieme complicato di informazioni. Oppure come la scena di un delitto di Agata Christie, dove anche un fiammifero abbandonato potrebbe essere la chiave per la soluzione. [...]