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Rivista 94_ L'eredità di Caravaggio

Se quella di Caravaggio è stata una rivoluzione, i dipinti della mostra curata da Angelo Piazzoli e da chi scrive possono essere paragonati all’esito di una deflagrazione, alle schegge di una bomba. Non tutte hanno fatto centro, qualcuna è arrivata già sbriciolata alla meta. Altre però hanno colpito l’obiettivo, favorendo l’evoluzione del caravaggismo, un movimento storicamente estinto, espressivamente ancora vivo.
Tutte le rivoluzioni hanno avuto un inizio, un’incubazione, un momento in cui si sono formate, lontano dai clamori della cronaca. L’opera che nella mostra ricopre questo ruolo è la tela di Antonio Campi raffigurante Santa Caterina visitata nel carcere dall’imperatrice Faustina, un’opera dipinta nel 1584 per la chiesa di Sant’Angelo a Milano. Come poteva passare inosservato un quadro del genere? È arrivato persino alle orecchie di un cieco, Giovan Paolo Lomazzo, che ne ha scritto nelle sue “Rime” del 1586, in toni polemici. Tutto quello che non piaceva a Lomazzo corrisponde a ciò che oggi piace a noi. L’idea di sperimentare tre diversi tipi di luce dipinta – naturale, artificiale e soprannaturale – è straordinaria. Nella scena che si vede oltre le sbarre con la Santa Caterina curata dagli angeli c’è addirittura un prodromo del Divisionismo: la luce è scomposta in tante particelle colorate, pennellate parallele che staccano dal fondo. C’è da giurarci che anche Caravaggio sarà corso a vedere il quadro. Secondo Roberto Longhi il dipinto si sarebbe indelebilmente impresso nella memoria del pittore lombardo, all’epoca di stanza a Milano, nella bottega di Simone Peterzano. Il telero di Antonio Campi è stato visto e apprezzato anche dal governatore spagnolo del ducato di Milano e una sua replica sarebbe stata chiesta per la collezione di Filippo II. Ora proviamo a calarci nelle aspettative della committente: Porzia Landi Gallarati. [...]