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Rivista91_Fausto Sardu

È cosa sempre tutt’altro che semplice voler penetrare nel mondo creativo di un artista, specialmente se l’artista è “difficile”, cioè usa suoi propri codici e cripta il suo lavoro. Anche Sardu si nega ad una leggibilità manifesta, mai pago di un risultato che ritiene solo tappe di un percorso. È la dolorosa ricerca di un prosieguo, di una strada, che per essere chiara ed accettata deve corrispondere alle sue attese interiori. Una “pittura” la sua che più che intimista chiamerei introspettiva, una ricerca che più che contemporanea definirei senza tempo, rivolta verso tematiche che oltrepassano l’osservazione del reale: è uno sguardo al vero oltre il visibile. Un’arte senza racconto, perché forse è un tema solo il suo ma declinato infinite volte, come se fosse un urlo silenzioso che proviene dall’anima e grida dentro.
Non so perché, ma guardando l’opera di Fausto Sardu mi viene in mente Picasso, pur parendomi un accostamento fuori luogo. Non so come giustificare la cosa, se non per aspetti esteriori come: la vastità della produzione, l’ininterrotta passione per la pittura, l’aver sondato modi espressivi dei più diversi, l’uso di materiali “anomali” e via dicendo. Non credo che Sardu (e tantomeno chi ha analizzato il suo lavoro) abbia mai pensato a tale accostamento, eppure continuo a vederci un senso. [...]