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Rivista91_Così Lotto parlava di Lorenzo

La differenza tra epistolari, o documenti personali, finalizzati sin dal primo intento, alla pubblicazione, e altri, destinati a rimanere assolutamente privati e riservati, sta nel diverso peso della verità dei pensieri e delle parole.
Lorenzo Lotto ha scritto molto. Privatamente. Di sé, dei suoi affari, dei suoi interlocutori, dei suoi amici, delle sue opere, dei suoi stati d’animo, delle tecniche del suo lavoro, delle sue aspirazioni, delle sue delusioni, delle sue generosità, dei suoi contratti sbagliati, dei dipinti di difficile collocazione, di altri di grande sua soddisfazione. Ha scritto almeno due testamenti noti, nel 1531 e nel 1546 (oltre a un altro del 1542). Ha spedito lettere a Bergamo dal 2 settembre 1524 al 6 marzo 1532. Ha registrato un Libro di Spese Diverse dal 1542 alla morte (noto e pubblicato, a far seguito a un probabile altro analogo libro degli anni anteriori tuttora ignoto). Ha sottoscritto contratti ricchi di annotazioni personali, oltre che di ricorrenti confusioni contabili.
In occasione della Mostra [...] nella sede centrale del Credito Bergamasco, a cura della omonima Fondazione, abbiamo scelto di dare la parola a Lotto: far parlare il pittore, con l’unica scelta (arbitraria quant’altre mai) d’aver trascritto in italiano di oggi il suo scrivere elegantemente cinquecentesco. Nessun intento filologico. Per dubbi o per il gusto di leggerlo dal vivo, i suoi testi sono facilissimamente recuperabili, consultabili e godibili. A partire dall’ironia, con la quale si presenta da sé in occasione dell’ennesima sua incursione nei cavilli amministrativi della Misericordia Maggiore di Bergamo, con cui era in contatto per la questione dei disegni del costruendo coro. «O’ le zà el Loto con le sue importunità» immagina – e scrive – di sentirsi dire il 18 luglio 1526 «Oh, è qua il Lotto con le sue insistenti molestie». [...]