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Bergamo, Venezia e la 'Tiepolomania'

Di ‘Tiepolomania’ si scrisse a riguardo del formidabile successo delle celebrazioni per la ricorrenza dei trecento anni dalla nascita di Giambattista Tiepolo. Era il 1996 e l’allora ministro per i Beni Culturali e Ambientali Antonio Paolucci dichiarò, a sancirne la gloria, «La grande arte italiana finisce con Tiepolo». Sono trascorsi vent’anni esatti e i Tiepolo, padre e figlio, artisti profondamente amati e riconosciuti dalla nobiltà del loro tempo, la cui fama varcò i confini della natia Venezia per renderli immortali e ricercati dalle grandi corti europee, sono stati protagonisti di un’iniziativa – Tiepolo, Genio del Secolo. Il Settecento dei protagonisti, capolavori dai Musei Civici di Vicenza, Bergamo, Fondazione Creberg – che ha posto al centro dell’attenzione Bergamo e la Lombardia. Ove Tiepolo lasciò, tra il 1731 e il 1740, sontuosi affreschi sacri e profani e pale d’altare ad adornare palazzi e chiese di Milano, Bergamo e Brescia.
Il trentacinquenne Giambattista, chiamato da una nobiltà lombarda in rapido riassetto nel passaggio dal dominio spagnolo a quello austriaco, era già pittore affermato in terra veneta. Acclamato fin dal precoce esordio, ancora in seno alla cultura artistica secentesca dei tenebrosi, fatta di una tavolozza densa e chiaroscurata che presto scioglierà in una precisa ricezione del colore di Paolo Veronese, cui donerà una nuova stagione di successi. Raggiunta accogliendo, insieme ai protagonisti di qualche anno più maturi – Sebastiano Ricci, Giambattista Piazzetta e Giambattista Pittoni su tutti – istanze rococò ridefinite in una pennellata che riporterà l’arte della Serenissima Repubblica agli splendori cinquecenteschi, imponendola nuovamente come l’essenza stessa della modernità a livello europeo. [...]