Parlare di Mario Benedetti, della sua arte, significa necessariamente allargare lo sguardo oltre il panorama culturale locale e prepararsi a seguire un orizzonte mistilineo, composito, di curvature esistenziali innestate su varie latitudini e maturate nei tempi lunghi di relazioni umane e di pensiero coltivate per tutta una vita.
Nato a Terni, cresciuto sulle rive del Po, formatosi nell’ambiente di Brera, Mario Benedetti è cittadino del mondo: da sempre ha viaggiato e vissuto all’estero e in diverse città italiane, ha frequentato le Americhe del Centro e del Sud, il Brasile, il Messico, l’Europa del Nord e dell’Est, l’Italia delle metropoli e della provincia, Milano, Torino, Firenze, l’Umbria, le Venezie. Ha scelto però Bergamo per vivere e lavorare, da più di quarant’anni, e la più parte dell’anno la spende oggi in un interno di via Pignolo nel cuore dell’antico borgo, dove ha organizzato il suo laboratorio, tra torchi, grandi telai, taniche di inchiostri, acidi, oli, rotoli di carte pregiate. Lì, in un ambiente silenzioso e appartato ma quotidianamente interferito da visitatori, amici, colleghi, prende forma la sua arte e si concentra il suo pensiero, nel confronto vivo e spesso acceso con chi ama ragionare sulle sfide dell’attualità, sia essa artistica e tecnologica, ma anche sociale e politica – un’attenzione che dagli anni della giovinezza non è mai venuta meno al suo operare.
Negli spazi austeri dello studio e nell’attiguo, suggestivo, hortus conclusus, in polverosa penombra, il lavoro è sempre in progress, esposto a verifiche e revisioni, febbrile ma non frenetico: il tempo, dietro le nude pareti finestrate, è il tempo diffuso dell’attesa e della memoria, del progetto e del “fare esperienza”. Un tempo che salva l’istante, su grandi teleri e lastre inchiostrate, ma che lascia volentieri sedimentare nei giorni e nei mesi gli impulsi emotivi e gli assunti ideali, l’artificio alchemico e, come lo chiama l’artista (quasi in ossimoro) “il rigore empirico”. [...]