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Luana Raia

... Nonostante il suo nome esotico, non è nata in una giungla, Luana, però i suoi amici, le sue pecorelle, sono tigri, pantere, leoni, leopardi ruggenti e balzanti. No, non è nata nella giungla, ma in uno dei quartieri di questa città dove tutto quel che c’è di animale è umano, donne, uomini, bambini, grida, chiasso, perché no, miseria. Lei non aveva pietre su cui disegnare, né silenziosi scopritori di talento che stessero a guardarla. Nei vicoli affollati e oscuri che tagliano la città ad angolo retto, scavati 2600 anni fa, cercando il sole che ne illumini finestre e terrazze, lei disegnava sui quaderni di scuola, sui fogli di rispetto dei pochi libri che aveva, qualche volta sul muro grigio fuori di casa sua. Ma alle sue spalle non c’era Cimabue. Alla fine delle prime scuole, il padre le disse: «basta studio, trovati un mestiere». Lei rispose: «datemi solo un tetto sulla testa, al resto penserò io». Così ogni mattina a scuola, poi all’Accademia.
E finalmente dietro di lei si piazzò Cimabue, sotto le forme vive e pensose dei suoi maestri, Carmine Di Ruggiero e Bruno Starita. Uno che del colore faceva uso singolare cercando la luce, come Lea Vergine gli riconosce: «... la bipolarità presente nell’animus popolare napoletano, la più gioiosa adesione al “naturale” e la più amara visionarietà, festosità e squallore...». L’altro invece, Starita, purtroppo scomparso, riservato, tra quelli che resero inutile la fotografia... con la decisione delle sue incisioni, con lo scarnire le materie sulle quali operava quasi per strapparne un grido di dolore, di rabbia, un lamento.
Luana la lezione la capì, l’assaporò, la trasformò, ma le sue non furono pecorelle. Furono appunto tigri, pantere, leoni. Animali che con forza e con ferocia esprimono il temperamento della natura che si ribella alla distruzione. ...