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Andrea Mastrovito. Enciclopedia di quel che si trova alla fine della linea, e altre storie

Una delle poche certezze nella vita è che, sempre e comunque, si deve tenere conto delle eccezioni. Fatto questo, si può, però, azzardare l’ardita sentenza che dal disegno nasca tutto; anche lo stesso artista che, in linea di massima, si accorge di essere tale disegnando, da bambino, o più raramente da grande.
Guardando la mostra At the end of the line di Andrea Mastrovito, curata da Sara Fumagalli e Stefano Raimondi, ospitata alla GAMeC questa primavera, e recentemente conclusa, si ha proprio questa immensa e sovrastante sensazione. Forse perché il disegno è annoverato fra le primordiali forme di comunicazione, di documentazione e di catalogazione; forse perché, ancora oggi, tra le varie cose che si danno sempre per scontate vi è il fatto che gli artisti abbiano un’innata abilità nel disegno, che qualora non risultasse essere spiccata nel virtuosismo, dovrebbe quantomeno conservare una propria peculiarità, una personale riconoscibilità. Tale abilità appartiene senza dubbio a Andrea Mastrovito (Bergamo, 1978): pur sfruttando nella sua produzione i media più diversi e lontani tra loro, mantiene sempre con il disegno un legame solido e imprescindibile. Il titolo della mostra si riferisce proprio a questo rapporto: il “alla fine della linea” richiama evidentemente un gesto, un tratto, un disegno. Muovendo i primi passi nello spazio espositivo, lo spettatore s’imbatte in una serie di opere che, pur utilizzando il disegno come forma espressiva, si estendono a una dimensione ambientale, coinvolgendolo in una serrata riflessione sulla vita e sulla morte, mantenendolo sempre in bilico su quella sottile linea che le separa. (...)