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Un bergamasco a Venezia - Notturno -

Passeggiare fra Rialto e San Marco in una notte fonda di tardo autunno quando le voci si sono spente e lo sciacquio lene del Canal Grande evoca nel ritmo blando e sonnolento memorie lontane. Fra gli sfagli della nebbia appare lo Straparola, spigliato narratore caravaggino che nella città lagunare pubblica le sue “Piacevoli notti”. Meglio non chiamarlo: narrerebbe la sua vita avventurosa e indicherebbe ad uno ad uno gli stampatori bergamaschi giunti a Venezia per aprir bottega in qualche fondaco con i loro torchi, i caratteri di piombo e i legni delle xilografie. La sosta sarebbe lunga. Così lasciamo che passi anche il doctor collegiatus Carlo Assonica, giurista e nuntius del Comune di Bergamo presso gli uffici delle Procuratie: anch’egli conobbe i nostri impressori insediatisi a Venezia e nella città lagunare diede alle stampe la sua volgarizzazione bergamasca del poema tassiano. Ma se c’imbattiamo nell’abate Borga lasciamo pure che s’intrattenga con noi e confortiamolo con qualche buona parola: chissà con quale permesso dei superiori riuscì da parroco di Lepreno a farsi trasferire a Venezia inseguendo il sogno di una gloria letteraria che non arrivò mai: fu sarcasticamente irriso dal Baretti e morì nell’indigenza, dopo aver affidato i manoscritti delle sue poesie agli amici, i quali se ne impossessarono vantandosene.
La nebbia tutto ravvolge, i palazzi aviti, le calli, le piazzette. Ma non cela altre ombre che trascorrono fugaci nel fioco biancore sbucando da un vòlto e perdendosi in un sottoportico. (...)