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Enrico Prometti. Dal mito dalla storia dalla strada

Enrico Prometti (Bergamo, 1945-2008) ha lasciato una produzione a dir poco sconfinata, sia per il numero delle opere che per la varietà delle tematiche affrontate e delle tecniche impiegate: pittura, scultura, grafica, libri d’artista, fotografie, in una logica di continua contaminazione, che sposa la pittura con la scultura (dai Trafori iniziali degli anni Sessanta-Settanta, fino alle “serie” di terrecotte e sculture in legno dipinte, degli anni Novanta e oltre), la pittura con la fotografia, la grafica con la scultura (le matrici per incisione valorizzate nella loro dimensione plastica), la scultura e la pittura con l’architettura (numerosi gli interventi di Prometti in collaborazione con architetti all’interno di case private, straordinarie le ristrutturazioni che ha operato nelle proprie case-studio di Campagnola a Bergamo e di Bassano nel Lazio); per non parlare di una produzione di oggetti d’uso e design (gioielli, coltelli, sedie, maschere, “ornamenti per il corpo”, come Prometti li chiamava), cui abbiamo voluto dedicare una sezione apposita negli spazi della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo, curata da Maria Cristina Rodeschini.
A questo si aggiunge la complessità culturale dell’arte di Prometti: con una partenza che può inscriversi nell’alveo surrealista, Prometti si rivela attento, formandosi negli anni Sessanta del secolo scorso, alle Neoavanguardie (Informale, Nouveau Réalisme, Fluxus, Pop Art, Arte povera), innestando su queste non solo una coerente capacità di destrutturare e discutere i canoni dell’arte occidentale, ma anche una rara conoscenza dell’arte extraeuropea, specificamente africana e in particolare Dogon, aggiornata sull’antropologia più recente e rivissuta alla luce del pensiero artistico contemporaneo. (...)