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Emanuela Fera

...Scrivere di Emanuela Fera è riflettere sulla lezione dell’antico e della natura. E riaprire – magari in modo sotteso, comunque centrato e peculiare – temi quali i rapporti fra l’arte e la sua radice di tekne (quindi tra qualità, ricerca e valore artistici e importanza attribuita a procedimenti e mezzi espressivi), tra opera privata e su commissione, fra tradizione, intesa nella ricchezza etimologica del suo significato, e innovazione o meglio rinnovamento o riscoperta. Proprio «il futuro delle antiche arti», secondo il critico Lino Lazzari e la docente di Storia dell’arte Stefania Burnelli, è riscontrabile nell’opera di Fera, che intende «emulare antichi maestri» e «vi si applica con una creatività sorprendente», prosegue rinnovando la tradizione millenaria della lavorazione del vetro e della ceramica, della pittura vascolare, dell’oreficeria, senza committenze. In effetti, la sua opera presenta un’immediata e innegabile unicità: la tecnica da lei messa a punto negli anni, quindi ogni sua opera, è brevettata. Il segreto, come spiega lei stessa, «risiede nella tecnica con cui tutti i materiali vengono fusi e rifusi insieme, ad altissime temperature, senza rompersi». ...La sua ricerca apprende dalla natura, secondo la lezione dell’antico, e astrae la materia e la nobilita: approfondisce il suo essere molteplice e la riconduce al suo essere uno, ne coglie il divenire e vi partecipa con fusioni che non concedono errori e ripensamenti, ne tempra la fragilità e valorizza i diversi riflessi luminosi e cromatici. Dando “forma”, come spiega, al “sentire” con l’anima e con la ragione e «liberando soggetti dall’oscurità che li opprime». Così Fera – conclude il critico Gerard Argelier – «gracile e schiva creatura, è in grado di produrre opere imponenti, dettate dalla forza del suo spirito interiore», luminose e simboliche...