La Scrittura biblica è anche il frutto di un processo creativo assai contiguo all'esperienza delle arti. Il senso classico della parola "invenzione", che denota nello stesso tempo l'evento di una scoperta e il talento dell'elaborazione, spiega molto di questa contiguita'. Questo fatto non scalfisce un centimetro della natura ispirata che i credenti attribuiscono alle Scritture. Semmai aggiunge a quella natura la realtà e la sostanza propria di ogni comunicazione vera. In essa il dato storico si intreccia sempre con la forza della metafora. I fatti da soli non dicono niente. Hanno bisogno di uno sguardo capace di discernere il loro senso. Per esprimerlo occorre l'arte della metafora, capace di dare forma non a un senso lato (dunque anche irreale, artificioso, puramente immaginario) ma al senso ultimo (dunque assai concreto, tangibile, gravido di realismo esistenziale).
Una delle metafore più potenti che il grande laboratorio biblico abbia saputo produrre si trova al capitolo trentasette del libro di Ezechiele.
Il libro, nella sua interezza, fa parte di quella letteratura "apocalittica" che, contrariamente a quello che si chiede, non parla della fine del mondo, ma si interroga sulle sorti delle fragili e ardenti esperienze umane di fronte all'infernale tritacarne della storia. ...