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rivista70_Ceresa

(...) Questa mostra, di nuovo a quasi trent'anni di distanza, cerca di dare il resoconto del progresso degli studi: proponendo per il Ceresa alcune opere nuove; altre invece, e non poche, togliendone dal suo catalogo tradizionalmente assestato; ragionando infine sul contesto più ampio nel quale il pittore si trova, nella Bergamo secentesca. Questo intento spiega il passaggio forse più spettacolare dell'esposizione ossia la sala maggiore dove si trovano radunate una serie di pale d'altare provenienti dalla città e dal territorio: la pluralità di provenienze illustra una inattesa internazionalità di Bergamo, capace di attrarre pittori da varie regioni, vicine e lontane... Pittori che, dialogando tra loro da posizioni molto diverse danno la misura della ricchezza di questo ambiente culturale. Nel quale Ceresa, unico radicale anti-barocco appunto, sta per evidente contrasto con la austera Crocifissione del 1641 per la chiesa di Mapello, uno dei suoi capolavori, del tutto distante, con la sua luminosità asciutta e una rigorosa essenzialità meditativa, da questi suoi contemporanei...
Da un lato infatti i primi faticosi passi nella pittura religiosa si muovono nel solco prevalentemente veneto della copia da stampe di Palma il giovane o di Paolo Veronese, oppure di artisti nordici, come si vede in mostra nella prima sezione – quella dedicata all'attività sacra giovanile appunto – presso il Museo Bernareggi. Un esordio che costringe l'autodidatta Ceresa a stare entro i binari stretti di derivazioni assai pedisseque, del tutto fedeli alle incisioni d'origine nella composizione delle scene e nelle posizioni dei personaggi (...)