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Nel presbiterio del Santuario della Madonna dei Campi di Stezzano, incastonato tra gli stucchi e gli affreschi di Ceresa, si cela un gioiello poco noto di arte seicentesca. In un semplice interno in forte scorcio, introdotto dal sott'insù del gradino in primo piano, l'arcangelo Gabriele irrompe con il braccio destro levato, la mano in controluce (il disegno marcato in rosso), le dita un po' geometrizzate di notevole stereometria, con una caratteristica contrattura del palmo quasi a "y". Tutto il corpo è attraversato da una tensione trattenuta che arriva fino all'alluce destro sollevato, e spiegazza
i panneggi, semplificando le pieghe in un susseguirsi di sbattimenti di luce: la casacca è di un arancione squillante e la veste di un azzurro rialzato in bianco, che ben potrebbero competere con soluzioni proposte ad affresco (mentre qui si tratta di pittura ad olio!). Sulla destra la Vergine è chiusa nei colori tradizionali (rosso e blu), una fisionomia tizianesca rivista con gli occhi di un rinnovato classicismo nei tratti assolutamente regolari, il naso greco, i sottilissimi passaggi chiaroscurali nell'incarnato, la bocca vibrante di lacca rossa. La colomba dello Spirito Santo, lavorata "a risparmio" sul chiarore della luce divina, è solo uno degli aspetti del dipinto che sono ben apprezzabili solo ora, dopo il recente restauro. Il visitatore che giunge al Santuario rimane colpito dalla forza dell'invenzione di assoluto purismo, ma soprattutto dall'uso della luce e dall'acceso cromatismo della bella pala, che prima passava pressoché inosservata, anche alla storiografia specialistica.