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Lea Vergine, nella memorabile mostra del 1980, voleva, una volta per tutte, rivelare il valore degli interventi delle donne all'interno delle arti del Novecento. E c'è riuscita.
Oggi mi sembra che non ci sia altro da dimostrare. Finalmente, si può semplicemente raccontare la storia.
E… raccontare il percorso evolutivo dell'arte di Lydia Lorenzi è (in un certo senso) facile perché lo governa una logica inventiva ed espressiva che se pure procede, come è naturale, per intuizioni improvvise e geniali accensioni della mente, ha una consequenzialità rigorosa; e perché, poi, l'artista è in grado di indicarne le motivazioni, si racconta da sé con molto garbo e con molta lucidità.
Ma non è un racconto facile qualora l'individuazione del filo conduttore non voglia essere soltanto la storia di una lunga e coerente devozione all'arte, bensì la ricerca del tema profondo che sottende tutto il suo percoso e l'individuazione, in termini di logica verbale, di una personalità creativa assolutamente riconoscibile d'istinto e tuttavia sfuggente ai tentativi di definizione.
Per prima cosa sfuggente alla definizione elementare, anche se poco significativa, se si stia parlando di una pittrice, scultrice e così via. Non solo Lydia è tutte queste cose insieme, o secondo i periodi, ma spesso in lei le specificità si mescolano e fondono al punto che ne viene fuori un nuovo modo di essere artista...