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È teatro? È arte visiva? No, è La Voce delle Cose. Ovvero: quando Luì Angelini e Paola Serafini, bergamaschi, attivi dal 1975, teatranti e artisti di figura, già noti come Assondelli & Stecchettoni – scoprono tre cose. Primo: un burattino o una marionetta, sottratti al loro contesto e codice d'uso, divengono una scultura. Cambiano significato, ambiente e addirittura disciplina di pertinenza. Secondo: esiste la possibilità di un percorso inverso. Viviamo circondati da oggetti, in una misura sconosciuta a tutte le generazioni passate messe insieme. Abbiamo superato il limite oltre il quale gli oggetti non valgono più per l'uso che se ne fa, ma per la rassicurazione psicologica o l'emozione che infondono. Siamo parte di una società consumista e feticista. E allora: cosa succede se gli oggetti più quotidiani sono sottratti alla loro routine, e immessi nel corpo di uno spettacolo? Terzo: a forza di passare dal teatro all'arte visiva e viceversa, gli oggetti finiscono – possono finire – in una terra di nessuno che è molto più divertente da esplorare. Non più meri oggetti, non ancora figure animate. Forse figure e basta. Forse altro. Il confine è stato forzato e allargato, tanto da poterlo abitare. È l'inizio di un percorso originale e stimolante, zigzagando tra teatro di figura e arte visiva, spiluccando la linea che da Marcel Duchamp arriva a Jean Tinguely, fuori dai teatri come dai musei. È il percorso de La Voce delle Cose.