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... Mentre il mondo s'accalca attorno all'ennesimo evento massmediatico o si prostra davanti al videoartista di turno, lui, tranquillo ma non serafico, s'interroga ostinatamente sulla composizione della sua ultima natura morta, ossessionato, anzi terrorizzato dall'essersi pure lui ammalato di quell'afasia retinica che tante vittime, anche eccellenti, ha fatto tra molti, forse troppi tra i suoi amici e compagni di strada. Rampinelli, da buon bergamasco, conosce il valore dell'inquietudine e altrettanto bene sa quanto questa possa indurre ad uno sterile manierismo, anticamera dell'accecamento (quello mentale, s'intende, ma non solo…) e dell'afasia. Lo sa perché davanti a lui ha una pletora importante di maestri, Gianfranco Ferroni in primis, che hanno trasformato il grigio della polvere e della solitudine in un colore della mente, rifuggendo qualunque compiacimento o qualunque soluzione fine a se stessa... Rampinelli intende la pittura principalmente come un (im)possibile punto di contatto fra le varie mutevolezze dell'anima e della mente, una sorta di infinito, interminabile e faticosissimo lavoro di mediazione, di concentrazione mentale ed emotiva. La sua è davvero poesia pura, di quella tanto rara e tanto preziosa in quanto piena di tutto ciò che l'afasia visiva del nostro tempo non è più in grado di percepire. Proporzioni, quel colore mai definito né definibile, la scabrosità di certi tratti che contrasta con la morbidezza (emotiva soprattutto) di altre forme. E poi la luce: impossibile, irreale, mai mentale come nel caso di tanto iperrealismo, eppure altrettanto impossibile...