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...Ermenegildo Agazzi non è certo un pittore in linea con lo "stile" novecentista diretto al classicismo e al quotidiano e neppure è una persona che può adattarsi a gruppi o linee ideologiche da percorrere con direttive artistiche ben precise. Di lui scrive Giolli, nel saggio del 1930: «Non s'è neppure accorto che s'egli sta nel suo studio come in un romitorio, tutti, fuori, si dimenticano allegramente di lui; e che si fanno esposizioni nazionali e internazionali senza invitarlo – lui, che è uno dei pochi davvero forti – e si fabbricano gli elenchi ufficiali degli artisti autorevoli senza registrarlo... Il suo prepotente e ignaro istinto diventa l'emozione stessa, come una muta necessità brutale; e totalmente s'esprime, senza riserve né ritorni, come in un pieno e delicato nirvana fisico. È uno dei rarissimi la cui coscienza pittorica, maturata nel dramma del silenzioso raccoglimento, abbia scoperto anche la piena meraviglia della stupefazione interiore». Da queste parole si desume che Agazzi è un isolato, come uomo e come pittore, ma è un artista forte e di notevole personalità; se ricordiamo che nel 1926 era stato invitato alla prima mostra del "Novecento Italiano" con tre opere (Al sole, L'anfora, Le nubi) possiamo pure affermare che egli è un pittore moderno e a ben diritto da annoverare tra i novecentisti lombardi, non ottocentista come comunemente viene ricordato. Certo, in origine, quando a Bergamo segue la scuola del Tallone alla Carrara, è un naturalista e un verista ma poi, quando dopo il 1892 si stabilisce a Milano, la traccia del naturalismo si affievolisce e la sua vena si riversa in un colorismo esaltante...