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Nel caso di Pio Manzù, molto è stato scritto del suo rapporto con la HfG (Hochschule für Gestaltung) la Scuola di Industrial Design di Ulm, luogo privilegiato della sua formazione di designer, sia da parte di coloro che lo conobbero sin dagli esordi come Gillo Dorfles, Tomás Maldonado, Giovanni Anceschi (suo compagno di corso), Grazia Varisco e altri, sia, da quanti, come nel mio caso, ebbero l’occasione di seguire e di studiare le sue ricerche tra il 1961 e il 1964, anno della sua tesi di laurea e sino al 1969, anno della sua prematura scomparsa.
Erano gli anni delle “Due culture” quelli descritti da Charles P. Snow nel suo libro uscito in Gran Bretagna nel 1963, in cui si riprendeva con energia l’analisi di un tema antico legato alla reciproca diffidenza tra pensiero umanistico e scientifico, tra il sistema delle arti e quello della scienza, tra fotografia soggettiva e fotografia oggettiva, anni in cui si studiavano i saggi di Herbert Reed e l’arte come mimesi naturale, la sua genetica, forma e funzione, i materiali e le tecniche per la produzione di serie di artefatti e manufatti industriali, nonché le ricadute nel tessuto sociale ed economico di allora. ...