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Rivista 119_Mino Santini

A distanza di trent’anni dalla scomparsa di Nino Zucchelli, l’occasione di questo mio articolo vuole essere commemorativa, ma vuole anche provare a fare una sintesi della sua attività per riflettere su una figura tanto importante nel panorama della storia culturale bergamasca della seconda metà del secolo scorso. La sua intensa attività di promotore di mostre d’arte, architettura e cinema, di collezionista, di regista e di editore lo rende un personaggio chiave del Novecento. I volumi a lui dedicati, pubblicati nel 2004 e nel 2013 da GAMeC, entrambi curati da M. Cristina Rodeschini, raccolgono alcuni studi significativi, sebbene non esaustivi, che fanno il punto sulla carriera di Zucchelli e la sua figura di intellettuale, individuando le diverse sfaccettature che lo rendono così poliedrico. La sua capacità di adoperarsi in così tanti ambiti della cultura e con tanto successo non può infatti lasciare indifferenti, e infatti mi domando oggi se non si possa ripensare e approfondire la sua storia cercando i suoi punti di forza proprio nelle connessioni che è stato capace di creare tra ambiti culturali diversi, in modo da far convergere tutto all’interno di un’unica grande costruzione.
Per questo breve excursus che propongo qui parto da una definizione dell’intellettuale data da Marco Bertozzi nel 2004 a proposito della sua attività di regista: «Egli è un uomo moderno per la fiducia in uno sviluppo e in un progresso controllabili, per l’utilizzo di diversi media, per la molteplicità di interessi legati all’arte, all’industria, alla comunicazione: eppure, per altri versi, resta un uomo antico, ancorato a un sistema di norme che attengono alla conservazione e all’aderenza a un “certo discorso” sull’arte “bella”, Zucchelli produce una quantità di opere definite da una grande attenzione fotografica, centrate composizioni e calibrate messe in quadro». [...]