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Rivista 108_Bergamo tra Seicento e Settecento: dal tardo Manierismo al Rococò

Se la fisionomia di una società fosse delineabile osservando l’arte che la rappresenta, si potrebbe affermare che l’Italia – da fine Cinquecento a inizio Seicento – coniuga la consapevolezza della conclusione dell’epoca rinascimentale vissuta “a misura d’uomo” alla speranza (o al timore?) per i mutamenti in corso, virando quindi la sua arte nel sinuoso e nervoso linearismo manierista e nel decorativismo misto a tenebrismo barocchi, che suggestionano anche l’Europa seppur in modo eterogeneo. Complessi, inoltre, sono gli sviluppi politico-economici dei governi italiani, in quanto la Penisola è stata appetibile e strategica terra di conquiste: si alternano domini stranieri – francesi e spagnoli – e a ondate dilagano pestilenze europee, tra le quali è nota quella bubbonica a Milano del 1630 circa ricordata come “manzoniana”, ognuna causa di gravi danni sociali. Dal punto di vista religioso (con ricadute nell’espressione artistica) il clero cattolico – sorretto dall’Inquisizione – prosegue con l’obiettivo e il compito di continuare ad arginare le idee “eterodosse” diffuse dalla Riforma protestante tedesca: una mirata e rigorosa censura controlla che siano rispettati in ogni settore i precetti della Controriforma; la Milano di Federico Borromeo ne è un tangibile esempio grazie all’entourage di artisti locali e “foresti”, che ne esprimono visivamente i dettami diffondendoli anche in altre città lombarde. A Bergamo tale orientamento raggiunge il culmine poco dopo la metà del Seicento con la missione del vescovo veneziano Gregorio Barbarigo (1657-1664), affiancato dalla missione di Gesuiti e Cappuccini. La raccomandazione è che le immagini sacre descrivano verità dogmatiche o storiche stimolando la pietà nei fedeli ed evitino soggetti licenziosi. [...]