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Rivista 108_La direttrice controriformata da Brescia a Milano, attraverso Bergamo

Dagli anni Trenta del Cinquecento si avverte nel panorama artistico bergamasco una fase di stasi, contraddistinta da modesti esiti produttivi, aggravata dal malinconico sentimento dei pittori autoctoni che, privi di un orientamento preciso, paiono stancamente ancorarsi alla presenza di Lorenzo Lotto; sebbene assente dal 1525, il veneziano ancora “vive” nel cantiere del coro ligneo della basilica di Santa Maria Maggiore e la sua eco viene avvertita pur se a debita distanza. Le uniche personalità artistiche “stabili” che in ambito locale si distinguono sono Gerolamo Colleoni, Lucano degli Zotti da Imola (detto Lucano de Sagio o Gaggio) – noti per le decorazioni esterne ed interne di palazzi altolocati e comunali – oltre alla bottega di Cristoforo Baschenis in cui opera il nipote Giovanni Battista Guarinoni d’Averara, attiva per diversi committenti privati (nobili e borghesi) ed ecclesiastici; più convenzionali sono Giovan Paolo Lolmo (nonostante la recente scoperta di un prestigioso alunnato) e Pietro Ronzelli, mentre al contrario Francesco Terzi lascia la città alla volta di Venezia, per poi spiccare il volo e planare alla corte di Ferdinando I del Tirolo, dove potrà respirare nuovi stimoli e darsi un futuro più dignitoso tra le città di Vienna e di Praga. Il tentativo di svecchiamento “dall’inclinazione lottesca”, e più in generale veneziana, e la necessità di colmare gli ammanchi per le varie dipartite, lo si attua puntando sull’ultima chance possibile ovvero estendendo la propria territorialità e commissionando opere ad artisti lombardi molto quotati attivi a Brescia, Genova, Roma; ma neppure questa “tattica” risolve la questione, ormai stagnante, del generale ritardo formale del territorio, che di lì a poco si aggraverà ulteriormente per motivi di natura sostanzialmente politica, poi degenerati anche in campo economico e sociale con strascichi che perdureranno fino al termine del secolo. [...]