« torna al sommario 102 ······· vai al numero in edicola »

Rivista102_Urgano e Basella

Accendere l’attenzione su qualcosa non si sa mai se è buona idea, in particolare in tema di beni culturali. Per mia esperienza raramente lo è, poche volte questo puntare i fari risulta producente per “l’evidenziato”; ma, se proprio si deve, bisogna mettere in atto tutte le prudenze, le avvertenze e le diffidenze possibili, perché poi non è più possibile recedere. L’elenco di beni svelati e subito abusati è lunghissimo (anche a Bergamo).
Questa preoccupata premessa mi sembra doverosa venendo a considerare “l’ermo colle” della nostra città: il San Vigilio. Infatti, da quando è stata ipotizzata la vendita di parte del Castello, questo è improvvisamente risorto nell’attenzione generale, al punto da far sorgere addirittura un’associazione in sua difesa. Bene se ciò vuol dire, prima di tutto, anteporre ad ogni desiderio di valorizzazione un fortissimo richiamo al rispetto dell’aura del sito, perché basta un niente a rompere l’incanto di quel luogo speciale. Un recente convegno ha posto il tema della rinascita della Cappella (il Castello) presentando proposte e progetti. Concrete questioni, forse giustamente “interventiste”, entro le quali ho però cercato di insinuare l’aspetto della “conservazione dell’invisibile”, vale a dire del portato di una storia non necessariamente da svelare a tutti i costi, vivisezionando un luogo alla ricerca di ciò che abbondantemente già ci dona e racconta.
Non si tratta di una pregiudiziale rinuncia alla conoscenza e tantomeno di solleticare il piacere che sta nell’ignoto. Semmai di voler essere meno “rivitalizzatori” che, nell’accezione imperante, significa imporre a questi beni un riuso d’ipotetico autosostentamento: in sostanza spingerli ad uno sfruttamento economico. Per allontanare questa triste visione, ho posto la mia attenzione “sulle mute parole del tempo”, nel caso quanto può dirci anche solo un disegno.
La rotta me l’ha tracciata una pianta del Castello di fine Cinquecento, oggi introvabile ma a noi nota perché riprodotta nell’opera: “Die Burgen Italiens” di Bodo Ebhardt. [...]